Da un sondaggio della piattaforma globale YouGov è emerso che oggi il blu è il colore più amato al mondo. Generalmente, vi si associa un’idea di relax, di tranquillità e di benessere, forse perché è il colore del cielo, del mare e dell’infinito.
I nostri occhi sono in grado di vedere all’incirca 1 milione di colori tuttavia, com’è noto, il colore non è una proprietà intrinseca degli oggetti ma è un effetto creato dalla luce. A seconda delle caratteristiche dei corpi le luci sono riflesse a diverse lunghezze d’onda e il nostro occhio interpreta queste lunghezze come colori differenti.
Se io vi chiedessi di chiudere gli occhi e pensare a un qualsiasi animale blu, cosa vi verrebbe in mente? Un pavone maschio? Una farfalla? La pesciolina Dori del film “Alla ricerca di Nemo”? Probabilmente ve ne verrebbero in mente tantissimi, ma se vi dicessi che effettivamente di animali veramente blu non ne esistono, o quasi? Pensereste che ho dei seri problemi di vista e non potrei darvi tutti i torti.
Il mondo animale ci circonda di una quantità sconfinata di colori di ogni genere utilizzati per comunicare, difendersi, nascondersi e corteggiare i partner.
I meccanismi attraverso cui gli animali producono le tinte sono simili più o meno in tutto il regno animale. I colori delle diverse strutture come pelle, occhi, peli, penne e scaglie
sono dovuti, principalmente, alla presenza di cellule specializzate dette cromatofori (melanociti in mammiferi e uccelli). Esistono diversi tipi di cromatofori ognuno dei quali contiene un unico pigmento particolare, alcuni rossi, altri gialli, altri hanno tonalità scure e le varie combinazioni di questi crea le diverse sfumature di colori che siamo abituati a vedere negli animali. È curioso, però, come sia quasi impossibile ottenere il blu anche dalla combinazione di tutti questi pigmenti.
Ma allora come fanno gli animali a produrre questo colore? La spiegazione arriva dalla fisica.
Esiste infatti un altro tipo di cromatofori che non possiede nessun pigmento al suo interno. Questi sono gli iridofori, cellule riflettenti nelle quali la luce viene deviata e filtrata attraverso microscopiche lamelle impilate e disposte in modo da separare la luce nelle diverse lunghezze d’onda. La maggior parte di queste viene assorbita da uno strato di melanofori scuri posti al di sotto degli iridofori mentre quelle che vanno dal verde al blu (le cui lunghezze d’onda distano appena 30 nanometri) vengono riflesse. Questo perché la distanza fra queste strutture è selettiva per la lunghezza d’onda intorno ai 520 nanometri che viene fatta rimbalzare all’interno di questa impalcatura e orientata in diverse direzioni. Ed ecco perché la luce rimandata da queste strutture ci appare cangiante. Se ci pensate, in effetti, la maggior parte dei colori blu cambia lievemente con il movimento (presentano appunto iridescenza).
Altri esempi molto evidenti sono nelle farfalle. Tutti avrete sicuramente presente il bellissimo Morfo blu (l’emoji della farfalla sul telefonino). La struttura microscopica delle sue ali è un reticolo formato da migliaia di cellette rettangolari disposte in maniera simile a quelle delle penne del pavone.
Lo stesso fenomeno si riscontra in molti pesci, come il pesce chirurgo Blu o le Castagnole Azzurre (fig. 4 e 5)
A questo punto verrebbe da chiedersi: come mai? Ancora la scienza non riesce a dare una risposta chiara ed univoca ma è possibile che l’evoluzione abbia trovato più semplice e meno dispendioso modificare la forma del corpo piuttosto che stravolgere le regole della chimica.
In realtà esistono alcune eccezioni a questa regola. Nel 1995 uno studio pubblicato su Zoological Science, ha scoperto che esistono 2 specie di vertebrati (finora) che possiedono cromatofori contenenti un pigmento veramente blu. Si tratta di due piccoli pesci dello stesso genere molto amati dagli acquariofili, detti pesci mandarino (Figure 6 e 7)
E le piante?
Anche nel regno vegetale è difficile ritrovare pigmenti blu, infatti, i fiori che presentano questo colore sono meno del 10% su circa 280 mila specie floreali. Le piante hanno ideato un sistema leggermente diverso, utilizzando delle molecole chiamate antocianine. Questi sono pigmenti di colore rosso che appartengono ai flavonoidi (spesso con proprietà antiossidanti), e che possono virare dal rosso al blu al variare del pH dell’ambiente.
I più appassionati di giardinaggio e floricoltura sanno che per ottenere le ortensie blu bisogna piantare delle ortensie rosa in un terreno a pH acido (inferiore a 6) addizionato con del solfato di alluminio. Nel 2017, dopo 13 anni di tentativi, il team giapponese del professor Nanobu Noda è riuscito a creare un crisantemo blu modificando geneticamente la pianta e la struttura delle sue antocianine. Sebbene sia possibile ottenere anche fiori e frutti blu il meccanismo genetico che ne è alla base è ancora poco chiaro e al momento i ricercatori stanno provando ad approfondire la questione.
Dunque, sebbene sia il colore più popolare, il blu è piuttosto raro tra gli esseri viventi e piante ed animali hanno escogitato ingegnosi stratagemmi pur di riprodurlo. Forse è per questo che ci piace così tanto.
Bibliografia:
- Birren F. “Colore”. Marshall Editions; (1980)
- Lee D. “Nature’s Palette: The Science of Plant Color”. University of Chicago Press; Reprint edition (December 15, 2010)
- Goda, Makoto, and Ryozo Fujii. “Blue chromatophores in two species of callionymid fish.” Zoological science 12.6 (1995): 811-813.
- Goda, Makoto, and Ryozo Fujii. “The blue coloration of the common surgeonfish, Paracanthurus hepatus—II. Color revelation and color changes.” Zoological science 15.3 (1998): 323-333.
- Noda, Naonobu, et al. “Generation of blue chrysanthemums by anthocyanin B-ring hydroxylation and glucosylation and its coloration mechanism.” Science advances 3.7 (2017): e1602785.